Talents4business

Negli ultimi mesi abbiamo letto tanti articoli in cui imprenditori, manager o associazioni di categoria evidenziano tutti lo stesso problema: non si trova il personale che serve. 

 

 

Ci sono dei dati oggettivi come la carenza quantitativa di persone con certe qualifiche, ma affermare che non si trovano lavoratori, nonostante la crisi, non basta. Perché per un’azienda di successo il recruiting e il posizionamento sul mercato di lavoro sono un processo di cui occuparsi costantemente, proprio come avviene per i prodotti e i servizi offerti sul mercato. 

Sono contenta che Stefano Barbusca de La Provincia ha voluto intervistarmi su questo tema, correlando l’articolo con una testimonianza di un giovane tecnico che sta facendo carriera in un’azienda che ha saputo coglierne il talento.  Curioso? Clicca qui per l’intervista intera.

 

 

Qui la sintesi:

Non si trova manodopera? “Dipende da come si cerca. Bisogna ‘vendersi’ bene”

Affermare che non si trovano lavoratori, nonostante la crisi che in Valtellina ha fatto sparire quattromila posti negli ultimi dodici mesi, non basta. Perché per un’azienda il recruiting e il posizionamento sul mercato di lavoro è un processo di cui occuparsi costantemente, proprio come avviene per i prodotti e i servizi offerti sul mercato.

A Valerie Schena Ehrenberger, titolare di Valtellina Lavoro e coordinatrice nazionale del Settore risorse umane di Assoconsult – associazione che rappresenta le imprese di consulenza di management più importanti presenti in Italia – abbiamo chiesto di concentrare l’attenzione su questo aspetto. Lo abbiamo fatto perché negli ultimi mesi abbiamo registrato l’appello di vari imprenditori che evidenziano l’assenza, sul territorio della provincia di Sondrio e di quelli limitrofi, a cominciare da Lecco, di persone interessate a lavorare nelle aziende del manifatturiero.

Una situazione che potrebbe apparire inspiegabile, considerata la fame di lavoro che caratterizza questo momento difficilissimo per l’economia locale, ma che in realtà è connessa a variabili ben precise.

 

 

D: Dottoressa Schena, ma è davvero così difficile trovare persone disponibili a lavorare in fabbrica azienda in tempi di crisi?

R: Vorrei premettere che c’è un problema di fondo. Abbiamo ascoltato in vari casi il messaggio di imprenditori, sui giornali e sui social, che dicono “non trovo nessuno”. Si tratta di un grido d’aiuto tardivo, un’azione spot, che normalmente viene lanciato attraverso uno o due canali, per una specifica esigenza da affrontare in tempi brevissimi. Il recruiting invece è un processo strategico che affianca una strategia/progettualità aziendale e quindi deve essere gestito per la valenza che ha. Una valenza elevatissima.

 

 

D: Nulla può essere lasciato al caso, insomma.

R: No. Pensiamo, ad esempio, a quanto avviene sul fronte dell’innovazione dei prodotti o servizi offerti. È un ambito che impegna costantemente risorse, per avere una marcia in più rispetto alla concorrenza, proponendo alla clientela soluzioni migliori. Dei prodotti si sa tutto: chi sono i potenziali acquirenti, quali sono i punti di forza e cosa offrono i competitor. La stessa logica deve avvenire quando quello si “vende” è la propria azienda, come datore del lavoro, quindi nella ricerca del personale, per conquistare il miglior capitale umano possibile. Bisogna chiedersi cosa si può offrire al candidato, come rendersi attrattivi, confrontandosi anche con le altre aziende concorrenti sul mercato del lavoro, per divenire “il marchio migliore”, e poi comunicarlo adeguatamente. Sul fronte dei prodotti non si inizia a dedicare ricerca e sviluppo quando le vendite calano e scatta l’emergenza. Quest’attenzione dev’essere sempre costante. Lo stesso metodo deve essere applicato nel recruiting. Il mercato e il proprio posizionamento vanno monitorati, non si improvvisa, altrimenti sorgono enormi difficoltà.

 

 

D: Ma i destinatari di questi messaggi esistono sul territorio?

R: Spesso si tratta di contenuti prodotti per un pubblico che non esiste. Consentitemi, anche in questo caso, di puntare su un paragone con il marketing. Una casa automobilistica imposta la comunicazione sulla base del cliente al quale si rivolge con uno specifico modello di macchina. Non si propone una jeep o un’utilitaria con la stessa campagna e allo stesso pubblico. Lo stesso metodo è necessario nell’ambito della ricerca di personale. La maggior parte dei messaggi di coloro che evidenziano la carenza di risposte è basato su un mercato del lavoro di quindici anni fa.

 

D: Stiamo parlando di un’altra epoca…

R: Il giovane di oggi ha caratteristiche e aspirazioni completamente diverse da quello di cinque, dieci e quindici anni fa. Stiamo parlando di nativi digitali, soggetti cresciuti con la rete, connessi continuamente, che possono contare su un flusso di informazioni costanti. I loro termini di paragone sono legati più alle serie tv di Netflix, alle esperienze dei coetanei che lavorano nelle start-up statunitensi, che non alla realtà di paese. È inoltre necessario essere presenti sui canali utilizzati dai ragazzi, che usano più Instagram che LinkedIn, soprattutto se ci si rivolge a figure diverse da quelle dirigenziali. Sapendo che i candidati oggi si informano sull’azienda in rete prima di candidarsi.

 

 

D: Vari sociologi evidenziano la tendenza a una “bassa via alla decrescita” nel mercato del lavoro italiano. Precarietà, salari bassi, scarse opportunità di crescita. Anche questo è un disincentivo che determina una scarsa attenzione dai giovani?

R: Servono scelte consapevoli da parte delle aziende, che devono avere ben presente l’interlocutore, con le sue aspettative. Se mi rivolgo ai millennial o la generazione Z, ad esempio, devo sapere quello che desiderano: valori che corrispondono ai loro, perché l’azienda li fa sognare e loro possono trovare la propria realizzazione personale anche nel contesto lavorativo. A volte i datori di lavoro nei colloqui parlano di sacrifici, è un riferimento valoriale che non appartiene al mondo dei giovani.

 

 

D: Tra questi desideri c’è anche quello di guidare un’impresa?

R: Sì. Da una ricerca effettuata nel 2018 tra gli studenti lombardi di quarta e quinta superiore emerge che il 61% vuole diventare imprenditore e il 72% avviare una nuova attività. Pochi anni fa la massima aspirazione era un contratto a tempo indeterminato. Ora invece vogliono aziende che li formino, che permettano di crescere, perché in futuro saranno loro stessi a mettersi in gioco in prima persona. Ecco un’altra ragione per cui lanciare messaggi solo nel momento del bisogno, che fanno vedere una mancanza di strategia aziendale come abbiamo visto fare recentemente in più occasioni, non possono portare risultati sostenibili.

 

Buona lettura ….. e buon lavoro!

Valerie Schena Ehrenberger

 

Per un 2021 di ripresa con la Risorsa Umana protagonista

Pubblicato il 14/04/2021

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